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domenica 7 novembre 2010

Doom:Vs - "Dead Words Speak"

Firedoom Records, 2008
I Draconian non bastavano più, così Johan Ericsson, chitarrista della band svedese, ha deciso di fondare un proprio progetto parallelo, nel quale è lui a cantare e suonare tutti gli strumenti. Se il carattere dei Draconian è tendente al melodico, con l'utilizzo del classico schema "la bella e la bestia", cioè voce femminile eterea e incantevole contrapposta al growl maschile, questo nuovo progetto solista sposta notevolmente le coordinate, al punto che le influenze dei Draconian diventano poco riconoscibili.  "Dead Words Speak", secondo lavoro della one man band dopo il debutto "Aeternum Vale", è infatti un album quadrato, contundente, difficile da scalfire e privo del respiro gotico e barocco dei migliori Draconian. Qui ha il sopravvento il dolore, la solitudine, la rabbia, il nero getto d'inchiostro che macchia indelebilmente una vita condannandola all'infelicità: sentimenti che raramente affiorano con vigore nella musica tendenzialmente malinconica e delicata della band madre. Potrebbe essere interessante ascoltare una versione negativizzata e incattivita dei Draconian: purtroppo però questo "Dead Words Speak", nonostante un impatto iniziale molto forte e una produzione sonora eccellente, non colpisce come dovrebbe e non riesce a lasciare un segno duraturo nella mente dei suoi ascoltatori. Affascina, intriga, ma scivola via come l'acqua sul vetro, fallendo nel fondamentale compito di risultare interessante e longevo, ed esaurendo il suo potenziale quasi subito.

Per capire il motivo di questa mia apparentemente impietosa critica, analizziamo il disco a mente fredda. Ci troviamo di fronte ad un doom death dei più classici, lento, pachidermico e straziante. Non c'è tecnica strumentale, non c'è complessità, non ci sono chitarre che suonino più di qualche accordo prolungato e di qualche nota singola isolata qua e là. Non c'è un songwriting elaborato, non ci sono intrecci armonici nè melodici degni di nota, le ritmiche sono così basiche da rendere probabile l'utilizzo di una drum machine programmata in quattro e quattr'otto. Le composizioni sono tutte piuttosto lunghe, con una media di otto minuti ciascuna, e la struttura di ognuna è estremamente semplice e scarna; il suono è pesantemente effettato, le chitarre sfoderano un muro di suono compatto e potente, il cantato growl è perennemente armonizzato dall'elettronica, ma il nostro Johan non disdegna di cantare anche in pulito, controbilanciando la durezza del cantato gutturale e facendo così un po' le veci della "draconiana" cantante Lisa Johansson, che qui non compare. Melodie decadenti e maledette, come nella conclusiva e ruggente "Threnode", o nell'apocalittica "Dead Words Speak", o nella malinconica "The Lachrymal Sleep", inizialmente lasciano basiti dallo stupore: sembra quasi che Johan abbia fatto un centro clamoroso nel suo bersaglio fatto di ascoltatori, creando un capolavoro. Non è mia intenzione mettere in dubbio le genuine emozioni che traspaiono da questo disco, perchè da questo punto di vista i Doom:Vs non difettano.

Purtroppo, la cosa si ferma ai primi ascolti, non progredisce, anzi scema velocemente fino alla presa di coscienza che tutte le emozioni provate erano ad un livello molto epidermico. La motivazione principale è imputabile al songwriting, davvero troppo povero per salvare un disco che vive solo di impatto, ma non ha la minima capacità di crescere ascolto dopo ascolto, in quanto dopo pochissimo tempo si è già in grado di ricordare ogni brano a memoria, e non si trova più niente, anche sforzandosi di leggere tra le note. Non aiuta, in questo senso, il fatto che praticamente tutti i brani potrebbero tranquillamente durare la metà, senza che si eliminasse nulla; il classico schema delle canzoni è infatti quello di arrivare all'incirca attorno ai quattro minuti, rendersi conto di non sapere come continuare, dunque ripetere tutto da capo andando così a totalizzare otto minuti, ma senza aver aggiunto niente a ciò che era stato detto nei primi quattro minuti. Quasi come se ogni traccia avesse un intrinseco "repeat" che si attiva ogni volta che la si ascolta. Un chiaro segnale di carenza di idee, perchè se una cosa del genere si può accettare a piccole dosi, non è lecito costruirci un disco intero, che supera i cinquanta minuti di durata. Non stupitevi se vi troverete a sognare sul devastante refrain della title track, o se tremerete sul cantato pulito di "Half Light"; lì per lì potreste anche pensare che la mia recensione è completamente cannata. Ma non stupitevi nemmeno quando vi troverete a lasciare il disco sullo scaffale, dopo averlo vissuto per qualche tempo, senza più riprenderlo in mano. Quelle sensazioni che parevano così forti e convincenti, probabilmente non torneranno più a farvi visita.

I Draconian non sono forse un gruppo eccezionale, hanno i loro difetti e non ne hanno nemmeno pochi, ma perlomeno hanno un senso di esistere: i Doom:Vs invece un po' meno. Il problema fondamentale è che nessuno ha bisogno di loro, essendoci in giro di molto meglio: sono quindi considerabili come una curiosità, un esperimento nato dall'esigenza artistica di un musicista, ma niente che vi pentirete di non avere nella vostra collezione. Solo per strenui appassionati che non possono perdersi nemmeno un'uscita di doom death metal.

01 - Half Light (07:48)
02 - Dead Words Speak (08:01)
03 - The Lachrymal Sleep (08:00)
04 - Upon The Cataract    (07:59)
05 - Leaden Winged Burden (06:43)
06 - Threnode (12:10)