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venerdì 19 novembre 2010

Shape Of Despair - "Angels Of Distress"

Spikefarm Records, 2001
C'è una storia particolare dietro questo album, una storia che non posso esimermi dal raccontare mentre mi accingo a recensirlo. Ovviamente parlo a livello personale: ricordo ancora quando, da giovane metallaro imberbe e inesperto, mi affacciai timidamente al negozio di dischi e chiesi di quello che sarebbe poi diventato il mio album preferito, la colonna sonora della mia vita. Era il 2002, e gli Shape Of Despair, capitanati da Jarno Salomaa, avevano finora pubblicato solo un disco, il crepuscolare "Shades Of...": esso era programmaticamente ripetitivo e freddo, ma terribilmente affascinante nel ricreare atmosfere nebbiose e desolate. Con quell'album, i finlandesi si erano già ritagliati un posto di rilievo nella scena funeral doom, ormai affermata da qualche anno e in continua crescita, ma ancora bisognosa di evocare tutto il suo potenziale. Tuttavia, non ero a conoscenza dell'esistenza di quell'album, per me esisteva solo "Angels Of Distress", che volevo assolutamente procurarmi poiché ero rimasto incuriosito da una recensione che lo dipingeva come capolavoro del genere.

E così, spendendo un quantitativo di denaro irrisorio se paragonato a ciò che avrei poi guadagnato in termini personali dall'ascolto di tale album, me lo sono ritrovato tra le mani. L'emozione che provo oggi quando ascolto le prime note di tastiera in "Fallen" è ancora la stessa di quella che provai la prima volta: un senso di vaga angoscia, di oppressione che tuttora non riesco a mitigare, anche dopo mille ascolti. Bastano poche decine di secondi prima che un urlo disumano apra le danze, ma si parla di danze lente, molto lente, consumate senza fretta tra rintocchi di batteria lugubri e accordi riversati da una chitarra distortissima. L'eterea voce di Natalie Safrosskin, utilizzata come un mero strumento musicale poiché non pronuncia alcuna parola di senso compiuto, cerca di contrastare l'infernale incedere di questo brano introduttivo, ma l'effetto è contemporaneamente quello di rendere l'atmosfera ancora più fredda, in cui le emozioni sono distanti, ovattate, senza respiro. Lentamente il brano prosegue sui suoi binari, variando di poco, fino all'epilogo nel quale una voce pesantemente distorta declama versi emblematici:

"I've lost my strenght
I've lost my sanity
I've seen myself falling
And I'm tired to stand"

Rabbrividendo, le ultime note di tastiera sfumano e ci lasciano un breve attimo di silenzio, ma non abbiamo il tempo di rimuginare su quanto ascoltato, poiché parte subito la devastante "Angels Of Distress", vero colpo al cuore per gli amanti delle sonorità sontuose e malinconiche. Una melodia elementare ma vibrante è ripetuta diverse volte in un crescendo magistrale di strumenti: prima solo i violini, il basso e la batteria: poi si aggiungono le chitarre, poi un coro femminile intenso ed elegiaco, fino all'entrata del mostruoso growl di Pasi Koskinen, vero lamento di dolore dagli Inferi, che squarcia la bellezza della trama strumentale come una mano armata di pugnale maledetto. L'infinita tristezza del brano viene così amplificata nettamente, evolvendosi e turbinando con variazioni piccole ma significative, tra cui uno stacco di sole tastiere che pare un volo sull'oceano, con un cielo rosato e l'acqua perfettamente immobile. Gli angeli ci stanno incoraggiando a lasciarci cullare da loro, nell'ultimo addio: ed è ciò che saremmo tentati di fare, se non fosse che il brano sfuma tremolando, e questa sublime possibilità ci è negata.

Giungiamo quindi, sempre più abbattuti emotivamente, ad un lento pachiderma dalla durata di quasi quindici minuti, "Quiet These Paintings Are". Impossibile rimanere indifferenti alla delicatissima introduzione ad opera di pianoforte ed oboe, che improvvisamente aumenta di volume e tesse una melodia incantevole, come una dolce nenia che precede il trapasso. Ma prima di giungere alla liberazione finale, dobbiamo ancora soffrire per lunghi minuti, agonizzando. Ma è un'agonia piacevole quella che il brano ci costringe a subire, mentre veniamo avvolti da trame di archi in vibrato, intrecci vocali sublimi e ritmiche dalla pesantezza granitica, sempre lentissime e disperate. Più volte sembra che l'agonia sia terminata, in un'apparente morte del brano, ma altrettante volte veniamo ingannati, risvegliandoci dal torpore proprio nel momento in cui pensavamo di aver terminato la triste odissea. Una lieve accelerazione finale è come il canto del cigno per questa mastodontica opera d'arte, che non è da tutti riuscire a sopportare per la sua intera durata.

Ma chi pensa di aver dato tutto ciò che aveva da dare con l'ascolto del brano appena passato, deve ricredersi. I diciassette minuti e mezzo di "...To Live For My Death..." rappresentano un altro cimento. Questa volta veniamo salutati da suoni di tastiera prolungati ed eterei, quasi ultraterreni, che giostrano tra le note Do e Si con insistenza, lasciandoci fluttuare nel vuoto interstellare. Talmente bello è questo vagare nell'etere, che quasi ci dimentichiamo di aspettare uno sviluppo: ma dopo qualche minuto ecco che le note si abbassano di tono e ci avvolgono con un maestoso trionfo, da ascoltare con gli occhi chiusi e la mente proiettata verso l'infinito. La voce maschile pulita, novità assoluta per la band, si sposa ora con la voce femminile che finalmente scandisce il testo, in un momento magico che viene rotto come di consueto dall'entrata del growl, ferale e demoniaco. Per lunghi minuti il tema portante ci ammalia lentamente, penetrando in noi senza fretta, ma ecco che a metà brano c'è un cambio improvviso, con una melodia più acida e dissonante, dal sapore solenne e celebrativo. Non è finita, tuttavia: dopo averci sfiancato con la sua ragionata prolissità, il pezzo si chiude con tristissimo e solitario violino che giunge del tutto inaspettato, commuovendo immediatamente anche gli animi più insensibili. Cosa aspettarci dopo una tale smisurata prova di forza, che ci ha ormai schiacciati sotto tonnellate di lacrime e dolore?

Miracolosamente, in chiusura riusciamo a godere di un po' di luce, dopo un tale viaggio nel buio più desolante. La conclusiva "Night's Dew" è una strumentale che tiene ritmi più veloci, come un'ultima corsa nella quale ridere e piangere contemporaneamente, fermandosi ogni tanto ad osservare la bellezza di un paesaggio innevato all'alba: ciò è simboleggiato alla perfezione dai mirabili intrecci di tastiere ascendenti e discendenti che sapranno far sognare a lungo l'indomito ascoltatore che sarà riuscito ad arrivare fino in fondo. Con un ultimo richiamo di questa stupenda melodia, lentamente tutti gli strumenti sfumano e ritorniamo nel mondo vero, sconsolati ma stranamente felici.

"Così tra questa immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare."


01 - Fallen (6:09)
02 - Angels Of Distress (9:43)
03 - Quiet These Paintings Are (14:40)
04 - ...To Live For My Death... (17:21)
05 - Night's Dew (7:00)