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domenica 14 novembre 2010

Mournful Congregation - "The June Frost"

Weird Truth Productions, 2009
Un album Funeral Doom Metal dalla copertina quasi completamente bianca? Stranissimo. Questo è il primo pensiero che viene in mente quando si ha tra le mani il terzo lavoro discografico dei Mournful Congregation, gruppo australiano attivo da molto tempo ma che non ha la fama di essere particolarmente produttivo: dal 1994 ad oggi, la band ha prodotto solo tre album in studio nel senso stretto della parola, più una grossa quantità di demo ed EP, successivamente raccolti nel doppio album "The Dawning Of Mournful Hymns". Nel 2009 i nostri si rifanno vivi con la pubblicazione di questo "The June Frost", album atipico sotto tutti i punti di vista. Non solo per la copertina bianca, ma anche per le soluzioni stilistiche decisamente differenti da quelle della maggior parte delle band Funeral Doom. Il suono del gruppo è conosciuto per le sue caratteristiche: oltre alla proverbiale lentezza, i brani sono molto articolati, ricchissimi di melodie di chitarra (a quasi totale discapito delle tastiere, quasi mai presenti nella musica del gruppo), più "ariosi" rispetto a monoliti schiaccianti come gli album dei Tyranny o degli Esoteric. C'è molto spazio per la melodia, poco per l'oppressività esasperata, i muri di chitarre sono quasi inesistenti. Funeral Doom minimale, emozionale.

Nonostante l'artwork, il disco si presenta comunque con una buona dose di tristezza e male di vivere, come traspare già perfettamente dalla breve intro strumentale "Solemn Strike The Funeral Chime", intro tra le più emozionanti che abbia mai sentito. Il suono delle campane a morto e un organo ecclesiale introducono a una mesta melodia di chitarra, sotto la quale i sintetizzatori (stavolta usati, e usati bene) creano un tappeto sonoro lieve ma vibrante, che trasmette un senso di desolazione assoluta. Pochi minuti, ma di grandissima classe. La successiva "White Cold Wrath Burnt Frozen Blood", dal titolo programmatico, è l'apice compositivo del disco e anche il brano migliore per descrivere sommariamente tutto quello che possiamo trovare all'interno dell'album: lentezza pachidermica, grande varietà nell'uso delle chitarre, qualche sezione completamente acustica che fa capolino (soluzione rara in un gruppo Funeral Doom, ma che gli australiani usano spesso), una generale sensazione che il sound sia "staccato", poco compatto, molto diluito. Il growl, profondamente aspirato e basso di tonalità, si trasforma talvolta in un semplice sussurro e perfino in una stanca recitazione parlata, che lo rende un accompagnamento ideale nelle parti più riflessive e calme. Non mancano soluzioni melodiche davvero riuscite, anche se spesso di breve durata: il tema portante cambia molto spesso e i nostri non ripetono facilmente quello che hanno già suonato. Verso gli 8 minuti si sentono perfino echi Pinkfloydiani, che ricordano molto anche "Orion" dei Metallica, grazie all'uso di note sognanti ed esasperatamente prolungate. C'è anche un gran finale: verso i 12 minuti si sente che il brano si sta preparando ad una conclusione degna di nota, ed infatti negli ultimi minuti i nostri confezionano un paio di melodie molto evocative, sostenute da un drumming leggermente più tecnico e da lievissime note di chitarra acustica appena percettibili,. Sfumando e cambiando di timbro, lentamente gli assoli di chitarra chiudono questo capolavoro del Funeral Doom, uno dei brani migliori di tutto il genere. Confezionare un pezzo così variegato ed emozionante, che dura ben 17 minuti, non è certo cosa da tutti.

Il resto dell'album scorre sulle stesse coordinate: brevi sezioni strumentali e oniriche ("The Februar Winds" e "The Wreath") si alternano ad episodi più metallici e aggressivi ("Descent Of The Flames", "A Slow March To The Burial"), che proseguono degnamente la strada tracciata dal primo mastodontico brano, pur senza raggiungerlo. Da segnalare però la title track, che curiosamente è una traccia strumentale, costituita da un intreccio di chitarre acustiche ed assoli di chitarra elettrica che lentamente si sviluppano e crescono in un'atmosfera di malinconia pressochè assoluta. Forse il brano che, pur non presentando distorsioni massacranti e voci gutturali, riesce ad esprimere meglio il carattere di questo "The June Frost", ossia "la brina di giugno": una condizione di tristezza persistente, che nemmeno il caldo sole estivo riesce a sciogliere. In definitiva un album atipico, che pesca dai canoni dal genere ma li impreziosisce in maniera molto personale. Per questo motivo la musica potrà far storcere il naso a qualcuno, specialmente ai puristi del genere che non possono concepire un album Funeral Doom senza distorsioni massacranti e onnipresente organo ecclesiale, ma l'assoluta qualità di questo lavoro è indiscutibile e li pone senza dubbio nell'Olimpo del genere.

01 - Solemn Strikes The Funeral Chime (3:52)
02 - White Cold Wrath Burnt Frozen Blood (17:02)
03 - Descent Of The Flames (9:01)
04 - The June Frost (4:25)
05 - A Slow March To The Burial (6:49)
06 - The Februar Winds (2:54)
07 - Suicide Choir (12:58)
08 - The Wreath (3:16)