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lunedì 15 novembre 2010

Fungoid Stream - "Celaenus Fragments"

Furias Records, 2004
Doom Metal dall'Argentina? Questa sì che è una novità. Un popolo tradizionalmente caldo e festoso come gli argentini, o più in generale i latino - americani, può partorire anche dischi introspettivi e rarefatti come questo "Celaenus Fragments"? Certo! E a discapito della loro "strana" nazionalità, lo fanno pure molto bene. I Fungoid Stream, gruppo nato nel 2003 a Buenos Aires, sono formati da soli due membri, uno dei quali si occupa di cantare, l'altro di suonare tutti gli strumenti. Quasi una one - man band, e sicuramente non è il tipo di musica che si può suonare dal vivo. I Fungoid Stream suonano infatti uno stranissimo genere di Funeral Doom estremamente rarefatto, che usa le chitarre come semplice accompagnamento. Priorità assoluta sono le tastiere, i lunghi stacchi atmosferici, i cori femminili, arpeggi sinistri e inquietanti ripetuti per minuti e minuti ma senza quasi mai arrivare a una linea melodica che sia facilmente riconoscibile. Il suono ha sempre un che di "sospeso", impalpabile, una tensione silente che permea l'album senza mai esplodere davvero. Molto raramente la musica diventa pesante e aggressiva, e quando lo fa è sempre per brevissimi tratti. Non ci sono intrecci strumentali complessi: i suoni tendono a prendere la parola quasi uno alla volta, come per non perdere quell'atmosfera fluttuante ed eterea. Simon scandisce lentamente i brani con un profondo growl, contribuendo a creare un'atmosfera di straniamento, pur non confezionando una prestazione vocale particolarmente degna di nota.

I brani, come ci si può aspettare, non sono particolarmente differenziati l'uno dall'altro, e come spesso accade nel genere, l'album va ascoltato per intero per essere capito, senza fare troppi confronti tra un pezzo e l'altro. Le sorprese comunque non mancano: all'interno delle cinque tracce (tutte sugli otto minuti di durata: un album relativamente breve) si possono trovare soluzioni stilistiche assai differenti tra loro, l'uso di una vasta gamma di strumenti e timbri delle tastiere, dissonanze, effetti sonori geniali (l'organo riverberante all'inizio di "The Howler", ad esempio, semplicemente magistrale nel suo creare l'effetto "sospeso").  La batteria è programmata, ma è un difettuccio che si può tranquillamente perdonare, essendo le parti di batteria molto gregarie, raramente degne di nota. Merita menzione la title track "Celaenus Fragments", brano strumentale interamente privo di distorsioni, nel quale i cori si intrecciano tra loro su una base di sintetizzatori ora delicati ora impetuosi, che fanno quasi sembrare di essere in viaggio senza meta attraverso lo spazio profondo. Questo è un pò il mood di tutto l'album: un viaggio astrale, altamente psichedelico, nelle profondità del cosmo. Sicuramente il più lampante esempio di come si possa, su una base tipicamente Funeral Doom, ossia lenta e oppressiva, creare un album davvero originale e personale. Molto difficile trovare in circolazione qualcosa di simile, perciò lo consiglio vivamente a chiunque voglia provare un'esperienza musicale nuova.

01 - The Book (8:59)
02 - The Key (8:15)
03 - The Howler (8:34)
04 - Celaenus Fragments (8:14)
05 - The Window (8:34)